VIII - LA FAMIGLIA GARIBALDI
1 - Santa Catarina
Mi propongo di riferirvi due vicende. La prima è l'epica campagna brasiliana di Garibaldi, a partire da Laguna - dove conobbe Anita, la rapì e la mise incinta senza perdere tempo - e continuando con la sua ritirata strategica, di sconfitta in sconfitta, giù giù per la "Provincia" del Rio Grande - dove nacque Menotti - fino al suo arrivo a Montevideo, dove finalmente i Garibaldi convolarono a nozze. L'altra è il racconto del viaggio in auto che feci con Grazia (mia moglie) e con due dei miei figli (Carlotta e Lorenzo) da Porto Alegre a Buenos Aires, passando per Pelotas, la Coronilla, Atlantida, Montevideo e Colonia allorchè, conclusosi prematuramente un contratto di lavoro che mi tenne per quattro anni in Brasile, ebbi a condurre le operazioni di sgombero, per tornare in Argentina.
Non può sfuggirvi quanto sia arduo il mio proposito. La narrazione di vicende parallele è difficile da condurre in ogni caso, ma tanto più quando uno ed uno solo dei due argomenti è un episodio storico ormai volto in leggenda, come la Rivoluzione dei Farrapos. Ma ho messo insieme ottimo materiale per aiutarmi. Per esempio la seguente citazione - un po' rimaneggiata da me - dalle "Memorie" di Garibaldi (Capitolo XVIII):
"Io passeggiavo sul cassero ravvolgendomi nei miei tetri
"pensieri quando, con l'aiuto del cannocchiale, gettai a caso lo
"sguardo verso le abitazioni della Barra, all'entrata della
"Laguna, e scoprii una giovane [Anita]",
da paragonare coi bei versi di Dino Campana ("Viaggio a Montevideo"):
"Sì presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina
"una fanciulla della razza nuova
"occhi lucenti e le vesti al vento!"
o questa vignetta -ahi vista, ahi conoscenza! - di quando Garibaldi, finalmente, si presenta ad Anita, nella casa di lei ("Memorie", Cap.XVIII):
"Restammo entrambi estatici e silenziosi, guardandoci
"reciprocamente come due persone che non si vedono per la prima
"volta, e che cercano l'una dell'altra qualche cosa che agevoli
"una reminiscenza. La salutai finalmente, e le dissi: - Tu devi
"essere mia!"
Questo incontro avvenne nel 1839 a Laguna, una bella cittadina di mare sul Golfo di Santa Catarina. Molte delle sue case, tutti gli edifici del porto e le chiese sono ancora oggi quelli del secolo scorso. Sarò stato a Laguna, con la famiglia, almeno una mezza dozzina di volte e ci ritorno sempre volentieri. Nel Carnevale del 1976 assistemmo alla sfilata delle "escolas de samba" nella piazza principale, la notte del Martedì Grasso. Quel giorno ci eravamo recati al Faro di Santa Marta, che dista da Laguna un'ora di traghetto più auto. Il Faro, da una collina di sabbia coperta d'erbe e di rocce quasi sferiche, domina un'ampia ricurva costa di rena biancastra, contro cui continuamente si spengono infinite schiere di onde. Fra le rocce disseminate sul dorso erboso della collina c'è un cimitero in cui entrano liberamente a pascolare certe pacifiche vacche, seguite dai vitelli vogliosi. I monumenti funerari disseminati fra tanta quiete sembrano i pezzi d'avorio di un gioco interrotto, dimenticati da quel cielo impassibile che si specchia nelle onde. Quasi centocinquanta anni fa, sotto quello stesso cielo, dalle acque che oggi sovrasta il Faro giunsero i Farrapos di Garibaldi, a bordo del lancione "Seival" che pilotava "l'italiano Lorenzo". Furono giorni fugaci, in cui la vittoria sembrò della Rivoluzione.
Da Santa Marta, da cui ci costò staccarci, tornammo a Laguna sull'imbrunire. Nel traghetto ci sorprese vedere alcuni giovani in costumi d'epoca fatti di rasi multicolore e ornati di piume di struzzo. Pensammo che fossero le figure principali del Carnevale, ma con nostra sorpresa quella stessa notte centinaia di persone sfilarono in piazza in costumi altrettanton sfarzosi. I ritmi dei tamburi e le canzoni vivacissime si avvicendarono durante ore ed ore per le strade antiche e nella piazza dove abitò Anita. Il popolo assiepato era parte della rappresentazione; il luogo fingeva un altro tempo e, più che evocare il passato, si cangiava in un mondo nuovo, vero e tangibile solo durante quella notte.
2- Rio Grande do Sul.
La storia della famiglia Garibaldi, che principiò come ho descritto, è ben documentata nel museo di Anita, lì stesso a Laguna, in una piazza dove l'eroina, o per meglio dire un suo bronzo di discutibile fattura, sfida i venti del Golfo, gli stessi che provocarono più di un naufragio alle modeste forze navali guidate da Garibaldi. D'altronde quei venti furono e sono responsabili delle piogge che rendono così feraci quelle terre. Un po' più a sud, così le descrive Garibaldi ("Memorie", Cap. XXIV):
"La Provincia del Rio Grande è divisa in due regioni: la bassa,
"limitata a levante dall'Atlantico ed a ponente e a maestro dalla
"Serra do Espinasso, è regione quasi tropicale, per mite
"temperatura; il caffè, lo zucchero, gli aranci ec. beano quella
"felice contrada, che ha di più il vantaggio d'immensa quantità
"di bestiame, ed una bellissima popolazione, forte a cavallo
"quanto i figli delle province del Plata; l'alta regione della
"Serra, con una temperatura assai più fredda, possiede le frutta
"tutte che appartengono a clima più rigido, cioè pomi, pere,
"pesche ec., ed è coronata dall'estremità meridionale
"dell'immensa foresta di cui accennai antecedentemente, i cui
"pini giganteschi vi fanno l'effetto di colonne di templi."
"El tiempo pasa", come nel disco di Mercedes Sosa y Raimundo Fagner (PHILIPS), e la descrizione di Garibaldi non combacia più con la realtà. Nel Rio Grande non restano coltivazioni di caffè e molti di quei boschi sono ormai trasformati in carta straccia. D'altronde lo stesso Garibaldi aveva previsto le stragi del tempo quando nel 1871 scrisse ("Memorie", Cap. VII):
"Ma ove saranno quei superbi stalloni, i tori, le gazzelle, gli
"struzzi che tanto abbellivano e vivificavano quelle amenissime
"colline? I loro discendenti pascoleranno senza dubbio quei
"ricchissimi fieni, sinchè il vapore ed il ferro giungano ad
"accrescere la ricchezza del suolo, ma ad impoverire coteste
"meravigliose scene della natura."
Si tratta tuttavia di una bellissima regione. Valga un esempio: sulla strada che conduce da Laguna a Porto Alegre (dove avrà da cominciare il vero racconto), sorge la cittadina di Torres, una variante addomesticata del Faro di Santa Marta. Presso la spiaggia si alzano tre "morros", ossia tre elevazioni erbose, che un nostro amico chiamava dispettosamente "bubboni" dato il loro profilo tondeggiante. Il panorama che si osserva di lassù mi ricorda certe illustrazioni dei libri di Babar (il piccolo elefante) con cui Jean de Brunhoff ha voluto riassumere per l'infanzia parigina tutto il mondo fuori città e quasi c'è riuscito, tanto lo sguardo abbraccia di spazio e, in esso, di episodi: mare agitato e montagne azzurrine per la distanza, pianure feraci e deserti di sabbia, ponti e traghetti su fiumi silenti, auto in fuga sull'autostrada, un treno che sparisce in lontananza sbuffando fra le coltivazioni di banani, case coloniche circondate di armenti, e il volo costante degli uccelli marini, l'essenziale violenza dei figli della natura, sempre pronti a predare.
Ancora più a sud, cento chilometri prima di Porto Alegre, nei pressi di Tramandaì, c'è un bellissimo parco statale, intitolato al nome del Generale Osorio. La tenuta, una tipica fazenda "gaucha", cioè Riograndense, ha tre fabbricati. Uno, d'epoca, fu la casa di campagna del Generale, e ne conserva il mobilio. Il secondo (un piccolo edificio quadrato di un bianco abbagliante) contiene una nutrita collezione di armi corte e fucili; le armi esposte sono appese a catene verniciate di nero, con bell'effetto plastico, ed una atletica sentinella in uniforme ed elmetto vigila, immobile come una statua, imbracciando l'unica arma moderna del museo. Infine c'è un ristorante, un tetro capannone rivestito di tronchi, in cui si serve la carne infilzata negli spadoni tipici del Rio Grande, sui quali è stata rosolata ben bene, alle braci di un fuoco di legna, dopo averla ricoperto di uno strato di sale spesso un dito. Garibaldi, che chiamava "azados" questi arrosti, ha dedicado loro molti paragrafi delle sue "Memorie". Secondo lui, questo tipo di alimentazione, basato sul bestiame sovrabbondante e sempre a portata di mano, permetteva agli eserciti di fare a meno delle salmerie, il che rendeva più agile e disimpegnato il movimento delle truppe, specie di quelle a cavallo, e imprimeva alle guerre un ritmo ben più vivace che in Europa.
Sono stato varie volte in quel Parco, perchè il paraggio, soavemente ondulato e inframezzato da boschetti che lo proteggono dai venti, dà un senso di quiete, rinvigorito dalla presenza di tante reliquie del passato. Nei pressi della antica casa del Generale c'è una replica del lancione "Seival", montato su due giganteschi assali che servirono a trascinarlo, tirato da duecento buoi, dalla Lagoa dos Patos al mare aperto, traverso una striscia di spiaggia spessa cinquanta chilometri, allorchè, burlata la vigilanza della flotta imperiale, ebbe a navigare fino a Laguna, come ho già detto. Visto dai bordi del prato, contro il boschetto, il "Seival" sembra una costruzione imponente. Si accede alla tolda mediante una scala piuttosto ripida e di lassù, spaziando lo sguardo sul mare d'erba cui s'indirizza la prua, si comprende quanto ardire occorresse per veleggiare il tempestoso Golfo in quel guscio fatto in casa e per guerreggiare con quel modesto cannoncino contro i saldissimi vascelli dell'Impero. Le otto ruote colossali ed il basto cui fan capo, per la loro incongruenza inducono ad un senso di irrealtà che cangia l'epopea in una vicenda fiabesca. La guerra dei Farrapos di Bento Gonçalves contro l'Impero, combattuta nel deserto di quei mari, di quei boschi esotici, di quelle spiagge sconfinate, di quei limpidi prati pascolati da cavalli indomiti, ora sferzati da venti vorticosi, ora da raffiche tiepide di piogge esuberanti, sembra una sacra rappresentazione in cui le forze umili del Bene affrontano senza speranza le magiche onnipossenti forze del Male e, pur sconfitte, finiscono per trionfare nel senso più vero di ogni vittoria: l'affermazione delle Virtù.
Il destino dell'Eroe dei due Mondi (soprannominato Pep negli anni giovanili) non può stupire gli studiosi di onomanzia, perchè implicito nelle diciassette lettere del suo nome che, anagrammate, permettono di comporre questo fatidico motto: "PEP, GUIDI E SBARAGLI". Ma da principio, non furono rose e fiori. Ad esempio di come andarono le cose coi Farrapos, trascrivo i titoli di qualche capitolo delle "Memorie":
"Prigioniero (XI)
"Quattordici contro centocinquanta (XIV)
"Naufragio (XVI)
"Ritirata (XX)
"Vittoria e sconfitta (XXII)
"Ritirata disastrosa per la Serra (XXVIII)"
Anita, gravida, comparte gli ardori e le disgrazie del Coniuge; nato Menotti (16 Settembre 1840) "anche alla povera Anita, dodici giorni dopo il parto, toccò di fuggire col suo pargolo sul davanti della sella". Nella disastrosa ritirata "Anita rabbrividiva all'idea di perdere il nostro Menotti, che salvammo per un miracolo! Nel più arduo della strada ed al passo dei torrenti io portava il mio caro figlio di tre mesi in un fazzoletto a tracolla, procurando riscaldarmelo al seno e coll'alito." Provvidenzialmente giungono ad un rifugio sui monti quando "la povera madre già poco sperava di quella tenera esistenza" e Menotti, ben asciugato e riscaldato, si salva. Il nostro ritorno in auto da Porto Alegre fu invece un episodio di scarsa drammaticità, tranne forse l'ultima ora della prima tappa (Porto Alegre-Pelotas) quando rischiammo di restare senza batteria, a notte inoltrata, in piena campagna. Comunque era estate e non stava piovendo. La necessità di far riparare la dinamo ci trattenne tutta la mattina seguente nella opima città di Pelotas, che, chissà perchè, gode della stessa reputazione che indusse il buon Dio a dare una lezioncina a Sodoma.
Avevamo trascorso quattro anni nello Stato del Rio Grande e sotto certi aspetti non ci era andata male. I miei figlioli ben presto si erano affermati fra i migliori della scuola. Ci piacevano i dintorni della città, a un'ora dal mare e ai piedi di monti feracissimi, ricoperti di palmizi, banani e vigneti. Però pesava su di noi la solitudine che ci eravamo portati appresso da Buenos Aires, prima meta del nostro girovagare per il mondo; solitudine non diversa da quella di ogni essere umano, ma più riconoscibile, per la nostra condizione di immigranti, pavidi e imprecisi nell'uso della lingua, ignari di quelle abitudini locali che nascono dalla tradizione e che i più confondono con l'autentico sentire comune. In quell'isolamento prendevano forma e si acuivano i conflitti del nostro microcosmo; e fu per questo che prendemmo, con Grazia, a frequentare un seminario notturno per genitori, dove gli istruttori (marito e moglie, immigrati da São Paulo) ci spiegavano che i figlioli non bisogna sculacciarli, nè forzarli a studi per i quali non siano portati. Io sbagliavo sempre la risposta dei tests, perchè a me, per esempio, sembra che qualche sculacciata ci vorrebbe, anche se non mi sento di dargliela. Comunque il meglio di quel corso fu la conferenza di chiusura, per la quale venne un sacerdote anziano dall'accento straniero che prese a descrivere la vita di famiglia nel suo lento divenire, infanzia, adolescenza...ma ecco che i genitori si trovano di colpo davanti ad una svolta: i figli hanno completato gli studi, ottengono il primo impiego, si sposano e d'improvviso è troppo tardi per aggiungere, per ritoccare, per perfezionare quanto si è trasmesso loro in ventanni ormai consumati, intangibili, irrecuperabili. Data la fama dell'oratore, la sala era gremita di genitori benestanti e d'antico stile. Mai l'attenzione di un uditorio fu più tesa che in quella occasione. Ognuno di noi avvertiva, alcuni per la prima volta, come il tempo, unico vero bene dell'uomo, fugga senza posa, e come il passato sia veramente imperituro, tanto è vero che non lo si può alterare nemmeno di quel poco che basterebbe a restituire il sorriso ai nostri figli.
Mentre ci si dibatteva in questi esercizi spirituali, la fabbrica che dirigevo (che apparteneva a una Corporazione multinazionale), soffriva per una crisi di mercato contro la quale si lottava con più coraggio che fortuna. I cattivi risultati economici minacciarono di pregiudicare la mia carriera, in un'età critica. Finalmente, dopo prolungate e difficili discussioni con l'Alto Comando, venni mandato di ritorno a Buenos Aires con un altro incarico.
Di questo si parlava coi miei figli mentre conducevo la vettura verso Colonia, di dove contavo attraversare il Rio de la Plata sul ferry-boat che unisce due volte al giorno la costa Argentina con quella Orientale (chiamata così perchè Montevideo è situata ad est-sud-est di Buenos Aires). Spiegare il mio caso non mi risultava facile. Il genitore di solito è visto dai figli come una divinità minore. Le sue gesta restano come sbalzate in un fregio marmoreo, per gloria imperitura dell'archetipo, se non forse del padre in carne ed ossa: proprio come certe avventure di Batman e del suo collega e figliastro Robin, rese immortali dai disegni a fumetti. E' inconcepibile che il Batimovil soffra una panna, ma, se questo avesse a succedere, ci si attende che le infinite risorse dell'Eroe riducano prontamente le conseguenze del guasto a proporzioni negligibili. Perciò non bastava, per giustificarmi, che accusassi il Sistema, giacchè era per l'appunto sull'Ambiente, che si supponeva che io trionfassi. Quindi rinunciai a tante spiegazioni e mi limitai ad enunciare l'Epilogo: "Torniamo a casa - dove siete nati, dove potete ricevere meglio educazione. La campagna in Brasile è stata solo un mezzo per ottenere queste nuove funzioni." E, in definitiva, questa semplificazione risulta essere una veritiera descrizione di quanto ottenni mediante quei mesi insonni, le soppesate discussioni degli avvocati, quel brandire contratti e principi come vessilli, e la tetra giornata di Pittsburgh, quando, dopo un nobile ed audace gran rifiuto, pallido e sfatto, ingurgitai alla stazione aerea un doppio bourbon per combattere in una l'angoscia di un futuro incerto e i 30 gradi sotto zero, mentre attendevo il primo velivolo diretto al sud.
Due parole, o magari quattro, sulle Corporazioni multinazionali. La loro organizzazione mi pare copiata pari pari da quella della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, dalla quale si distinguono soprattutto per la diversità dei rispettivi Credi che, nel caso delle Multinazionali, è costituito dalla Linea dei Risultati (Bottom Line) e dai suoi due pilastri: i Costi (che vuol bassi) e la Tecnologia d'avanzata. A me pare che per il momento l'organizzazione del Cattolicesimo continui ad esser superiore, soprattutto perchè la sua struttura burocratica, col tempo e con la paglia, ha saputo rendere flessibili le norme corporative ed adeguarle, con minime stridenze, ai luoghi ed ai casi specifici. Invece i Giovani Turchi delle Multinazionali, convinti a torto che il trucco consista nel ridurre tutti i casi ad uno solo, immaginano formulari sempre più complessi e, quando la realtà prepotente e restia rifiuta di farsi imprigionare nelle loro rigide caselle, tagliano via senza pietà i piedi e le teste che sporgono da quei letti di Procuste. D'altronde manca nelle Multinazionali quella Fede in un ipotetico Mondo trascendente che permette alla Chiesa di rimandare "a babbo morto" i conti che non si azzerino subito, su questa terra. E qui viene a fagiolo un aneddoto di Reddin.
Reddin è uno dei maggiori esperti in Organizzazione Gerenziale. Nato in Inghilterra, Canadese d'adozione, ha pubblicato vari testi, sviluppando le sue teorie e tecniche sulla scia di William Blake, della scuola di Oxford. Stavamo imparando a prevedere il futuro, in un seminario interno diretto da lui personalmente, mediante l'uso di certi formulari. La ditta in cui lavoravamo era stata appena fagocitata da una Corporazione multinazionale. Il nostro Presidente, che si sentiva scomodo nei nuovi panni -infatti si dimise pochi mesi dopo- avanzò l'ipotesi che la formulazione di previsioni, soprattutto se ottimista, costituisca un atto di superbia, forse meritevole del castigo divino. Reddin ammise sorridendo che su quell'argomento non aveva nulla da opporre, "perchè non è stato ancora accertato se la prosperità delle Corporazioni si debba all'applicazione di principi scientifici o piuttosto alla magia nera (black magics)". Questo tentativo di ironia mi sorprese. Non poteva sfuggire a Reddin che la strumentazione del processo di decisione, in una Corporazione che si rispetti, non è altro che una cerimonia propiziatoria, con tutti gli attributi di una prassi magica, e che questo accresce considerevolmente la probabilità che la decisione risulti efficace, soprattutto se si è disposti a non indietreggiare davanti a nessuno dei riti, compreso il sacrificio di una o più vittime, se condannate dall'asettica sentenza del computer.
3 - Banda Oriental
La prima fermata con pernottamento, dopo Pelotas, fu la Coronilla, vicino al Parco Nazionale di Santa Teresa, che si estende lungo la costa Uruguaiana per chilometri e chilometri. E' un bosco di pini ed eucalipti, interrotto qua e là da radure fiorite in cui sfociano i torrenti di ortensie che vengono giù a capofitto per le dune. La linea della costa si spezza in minute calette, limitate da promontori rocciosi, in cui le lunghe ondate penetrano come un lento respiro dell'Oceano. Sovrasta il Parco l'antica Fortezza, che pretendeva vietare il passo ai Lusitani del Brasile nella loro spinta verso il Rio de la Plata. La Fortezza è un esempio ben conservato di architettura militare dei tempi coloniali; i bastioni racchiudono un "patio" d'erba, dove l'ansito del mare echeggia contro le poderose pareti di pietroni giallastri. Nel bagno per le truppe vidi una lunga fila di cacatoi, in penombra, su cui mi immaginai seduti pudicamente i soldatini creoli, uno accanto all'altro, con le brache scese.
Passammo la notte in un albergo che già conoscevamo, gestito da un Fiorentino il cui nome mi sfugge. Non era ancora estate, quindi la sala da gioco era chiusa. A differenza del Brasile, dove il gioco d'azzardo è proibito, in Uruguay pullulano i tavoli di roulette, che hanno trentasette numeri, secondo il sistema francese, cioè non hanno il doppio zero. Non so in che concetto teniate il gioco; quanto a me, credo che sia più probabile perdere denaro se si mette su una attività industriale che se lo si investe al momento giusto in un buon numero della terza dozzina. Per lo meno, in Sudamerica.
Nel tratto seguente, fra la Coronilla e Atlantida, Carlotta, con certe sgarbate osservazioni, mi fece andare su tutte le furie. Purtroppo il mio carattere, pur flemmatico, va soggetto a collere improvvise, come quelle dei ruminanti, e lei, poco propensa a seguire le norme del quieto vivere, sembrava fatta su misura per suscitare i nostri cordiali dissensi familiari, le nostre minuscole ire. Per fortuna Grazia e Carlotta avevano ideato un rimedio, collaudato durante gli inverni passati a Buenos Aires, dove le molteplici pressanti occupazioni di tutti non consentivano di sprecare tempo. A volte, se al rientrare a casa da scuola si suscitavano un diverbio o un suo capriccio, Carlotta chiedeva alla mamma che le permettesse di scendere le scale, uscire, suonare di nuovo il campanello e ripetere il ritorno in una nuova versione, scartando così il primo tentativo come una ripresa cinematografica venuta male. Grazia accettava il patto, perchè implicava un pentimento. Anche se oggi hanno perduto quest'arte, resta loro la soddisfazione, direi quasi il vanto tutt'altro che volgare, d'essere riuscite a dominare il tempo, plasmando di nuovo certi avvenimenti già trascorsi, ad libitum dei protagonisti.
Per rispettare l'ordine cronologico del racconto adesso dovrei narrare la sosta ad Atlantida, ma preferisco sbrigare prima la visita a Montevideo e l'imbarco a Colonia, che avvennero entrambi lo stesso giorno, l'ultimo del viaggio. Principiamo da Montevideo, scenario delle imprese della Legione Italiana comandata da Garibaldi che, appunto in quella città, durante il lungo assedio della Guerra Grande, temprò la sua vocazione di condottiero. Vi giunse subito dopo la sfortunata campagna coi Farrapos, come riferisce nelle "Memorie" (Cap. XXVIII):
"Mi decisi adunque di passare a Montevideo temporariamente,
"ne chiesi il permesso al presidente [Bento Gonçalvez], che
"me lo concesse, e col permesso del viaggio ebbi pure quello
"di fare una piccola truppa di bovini per far fronte alle
"spese."
La piccola truppa fu di novecento animali, che costituivano anche allora un discreto valore, ma, per gli stenti del viaggio, arrivò decimata. Sia come sia, ancora oggi a Montevideo si ricerca "il tesoro di Garibaldi" nelle profondità della cala del Buceo, dove è tradizione che egli lo avesse sommerso. E' probabile che questo leggendario tesoro non sia mai esistito, ma preferisco immaginare che Garibaldi vi avesse rinunciato volontariamente, allo scoprire quanto effimero sia il valore delle ricchezze e quanto ingannosa la loro seduzione. La sua missione era unificare l'Italia: per prepararvisi seppe mortificare pazientemente la propria audacia, fino plasmarla nei limiti di un prudente coraggio. La ritirata a Montevideo con la "piccola truppa" fu il suo primo esercizio di umiltà; l'ultima austera tappa di questo tirocinio si concluse nel podere di Caprera, alla vista del mare, quando egli stesso accatastò la sua pira funebre.
Traversammo Montevideo soffermandoci a visitarne i luoghi essenziali: la parte antica del centro, i parchi, i viali lungo le spiagge, la cala del Buceo, la collina dell'antico Forte, detto del "Cerro", che limita la baia ad ovest. La semplice menzione di quella capitale mi fa rammentare di una fugace amicizia, di un pellicciaio che conobbi a bordo di un aereo Avianca una volta che tornavo da Bogotà a Buenos Aires. Il maltempo obbligò il volo ad una lunga sosta nell'aeroporto di Carrasco (che è appunto l'aeroporto di Montevideo). Il mio compagno visitava per la prima volta "sul mare giallo della portentosa dovizia del fiume - del continente nuovo la capitale marina", come dice Campana nell'opera già citata. Percorsi a piedi con lui l'antico centro della città, che si erge immutato sulla punta della baia opposta a quella del Cerro: la "Ciudad Vieja", tutta viuzze battute dalla sudestada, che è un vento tormentoso simile al libeccio. I balconi in quel settore sono come una mareggiata di trine che trapunge i decrepiti palazzi di quei caruggi. Era un Genovese di cinquantanni, per di più innamorato pazzo del ferro battuto, perciò si trovava come il topo nel formaggio. In quell'occasione, forse per la stanchezza della notte trascorsa in volo o per il fervore del Pellicciaio, Montevideo mi apparve trasfigurata. Tale la riconobbi anche quando vi giunsi con Grazia e i due figlioli minori, la volta di questo racconto, che dava fine a tempi difficili per dare adito ad una speranza. Forse una carta dei Tarocchi, uno degli Arcani Maggiori, quale lo descrive Eden Gray nel suo Manuale, può dare un'idea di ciò che sentivo:
"Un misterioso personaggio muove lentamente a cavallo
"attraverso un campo, e reca per vessillo un drappo nero, su
"cui campeggia la Rosa Mistica, emblema della vita. Basso
"sull'orizzonte, il sole brilla fra due antiche torri. Ognuno
"è impotente davanti al cavaliere: un re, un fanciullo, un
"giovane si umiliano al suo cospetto, mentre un sacerdote
"attende il suo arrivo con le mani giunte in preghiera. La
"carta rappresenta la vittoria sull'antico ego e lo
"spegnersi dei desideri. Chi comprende che la morte
"dev'essere sconfitta dalla rigenerazione dell'anima, è
"sulla strada di conquistare la vita eterna."
La Colonia del Sacramento -dove,come ho già detto, ci si imbarca sul ferry-boat per l'Argentina- è città antica, cioè del XVIII secolo, e fu alternativamente tenuta dagli Spagnoli, che la fondarono e riconquistarono, e dai Portoghesi. Il centro, anche le case private, è tutto di stili plateresco e manuelino, irrigiditi nelle linee sbrigative dell'epoca coloniale; il fiume, quasi un immenso lago melmoso, acquista prima del tramonto riflessi argentei di una malinconia che rende raccolti ed elevati i pensieri del viaggiatore. Nelle vicinanze, una arena "de toros" abbandonata, in cui ogni sillaba è centuplicata dagli echi, ripete l'atmosfera di irrealtà che conoscemmo nel Parco Osorio e nella Fortezza di Santa Teresa. Al centro di un vortice di archi in rovina, traverso i quali si divisa un lungo molo che s'addentra sulle acque, lo stesso tappeto di trifogli, appena agitati nel silenzio da una brezza di mare, o di fiume; la stessa solitudine, memore del fragore degli arrembaggi, dei colpi di cannone, del grido delle folle.
L'imbarco sul ferry-boat concluse, più che quel viaggio, un periodo della nostra vita. La confusione in dogana, riempire formulari e giurare verità triviali ci sembravano raffigurare i tratti più effimeri, ma più condizionanti, della civiltà. La mia ritirata strategica finiva sullo sfondo musicale del frastuono del porto, fra un grandioso agitarsi di uniformi e di macchine che produsse i magri risultati di sempre, celebrati solennemente anche quella volta dal lungo ululato della sirena, quando finalmente salpammo.
4- Epilogo
Torniamo indietro col racconto: ad Atlantida, dove in precedenza avevamo trascorso un paio d'estati e, prima ancora, eravamo stati con Grazia il giorno che ci sposammo. Non so se anche a voi la nostalgia sembri intessuta di rammarichi, più che di rimpianti. Si è consapevoli, oggi, che si fu felici allora, senza essercene accorti; si immagina in conseguenza che forse si è felici anche in questo istante, ma che purtroppo soltanto il trascorrere del tempo metterà a fuoco la nostra ottica e ci permetterà di scoprirlo. Ma quella sera, mentre cenavo coi miei sotto la pergola di una "churrasqueria", il mormorio dei pinastri e la temperatura veramente primaverile mi indussero ad un consapevole senso di benessere in cui i ricordi perdevano ogni pungente amarezza. Così mi rammentai di una serata in cui mi ero congedato dalla famiglia, che restava in vacanze nei pressi di Atlantida, mentre io dovevo intraprendere un breve viaggio di lavoro. Lorenzo, di pochi mesi, ancora non sapeva parlare, nè intendeva le nostre parole; lo tenni stretto, quietamente, ed egli rimase aggrappato a me per diversi minuti, misteriosamente consapevole dell'imminente separazione, la testa reclinata sulla mia spalla. L'aria imbruniva senza fine sotto i pini e noi continuavamo immobili in quel commiato che vinceva i timori per anticipare la gioia del rincontro. Quando poi tornai dal Venezuela, sebbene fosse trascorso quasi un mese Lorenzo mi riconobbe subito. A me sembrò tanto cresciuto che quella stessa sera lo volli a cena fuori, per la prima volta. Lo misi a sedere accanto a me su un altissimo seggiolone, al banco di un chioschetto, ed ordinammo una pizza alla Napoli. Un vortice di stelle si inabissava tra i rami dei pini sopra le nostre teste e giungeva fino a noi l'eco della risacca dolce di Atlantida, mezza d'oceano, mezza di fiume. Lorenzo si mangiò con disinvoltura la prima porzione di pizza della sua vita, un bocconcino dopo l'altro, annaffiandola di cocacola.
Buenos Aires, 1982?/1988