VI - LA SONANTE RIVA
Il paese, di poche case strizzate fra la spiaggia e un retroterra inospite dove solo allignano erbe dure e cespugli senza fiori, costeggia il mare per vari chilometri. E' un paese costruito apposta per i villeggianti: perciò tutte le sue case sono vicine al mare e la sabbia della spiaggia ne invade ogni strada, ogni giardino. E' un paese costruito da poveri, neppure una strada è asfaltata. I mattoni sono di conchiglie frantumate: il vento disfa lentamente le case, come i castelli di sabbia bagnata che i bimbi costruiscono in riva al mare.
Il paese vive con quanto guadagna nei quattro mesi d'estate. Ma la maggior parte degli alberghi e dei negozi sono gestiti da gente di fuori, che abita lì solo per quei quattro mesi e se ne torna via con gli ultimi turisti alla prima pioggia d'autunno, portando con sè i propri guadagni. Gli abitanti fissi si sono distribuiti i mestieri fra loro: un farmacista, un fornaio, un fontaniere, pochi droghieri, ortolani e macellai, ma i muratori sono molti. Alla fine dell'estate, chi ha guadagnato bene compra un pezzo di terra, il più vicino al mare, e fa gettare le fondamenta di una casetta di tre stanze; se ha gettato le fondamenta l'anno prima, fa murare le pareti o il tetto. Sono le case dei villeggianti; profumano di sole, di brezza, di mare. D'inverno, la sabbia lentamente le seppellisce: allora tristemente attendono l'ultima bufera.
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Sono venuti a prenderci all'arrivo, me e Paula. Hanno caricato le valigie su una carretta e le hanno mandate a casa. Solo Fausto ha accompagnato il cocchiere. Noi ci siamo avviati a piedi, lungo il mare. L'aria era sconvolta dal vento, che a volte sollevava la sabbia avvolgendoci in un turbine accecante. Stava per tramontare. Il mare, cupo, era fiorito di creste bianche, come gli elmi dei guerrieri antichi. Nel cielo vagavano nubi di bronzo.
Abbiamo lasciato la spiaggia, inoltrandoci fra le dune per un sentiero sabbioso. Come ci sentivamo a disagio, con le scarpe di cuoio, coi nostri abiti di città! Il vento e la sabbia giungevano alla nostra pelle e ci facevano fremere. Poi, la casa. Sono poche stanze disadorne, luminose anche quando piove. I letti servono anche da sedie e perfino da armadi: sotto c'è posto per le scarpe, le valigie, le conchiglie più belle da portare con noi quando torneremo in città.
Si cena alla luce del petrolio, come durante la guerra. Con latte e uova, e pane spalmato di burro e miele. Questi cibi buoni saranno la salute di Paula. Scorgo nei suoi occhi l'emozione della casa nuova e la stanchezza del primo viaggio: ricorda la campagna, il mare, la mamma lontana. La luce vacilla, gli angoli restano oscuri e la stanza assume perciò proporzioni magiche. Essi parlano, a bassa voce, alludendo scherzosamente a episodi che ignoro.
Mia piccola, ti sei assopita, il gomito e la fronte appoggiati all'incerato nuovo della mensa. Nella mano minuscola stringe una fetta di pane morsa una sola volta. La nonna la porta al suo lettino: domani, se farà sole, torneremo alla riva del mare, a giocare con l'acqua e con la sabbia.
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In questi giorni di vento, alla spiaggia ci siamo stati poco, un'ora al mattino o al pomeriggio, solo per dare uno sguardo al mare.
Nessuno fa il bagno. I villeggianti passeggiano; qualcuno va a cavallo, lungo il bordo della risacca; indossano vesti chiare, berretti azzurri colla visiera, scarpe di tela e corda. Il vento scherza con gli abiti, fa volare un berretto, sventola il lembo di una sciarpa come una gioiosa bandiera.
Passano lungo il mare automobili in corsa; a volte la risacca giunge furiosamente fin sotto le ruote e l'acqua schizza al cielo in grosse gocce gelide.
Nel cielo si sfilacciano poche nuvole bianche in fuga. Il vento giunge sibilando dal mare, ce ne porta il rumore, il sapore riarso, rapisce ogni altro suono; è un mondo silenzioso che solo ascolta all'infinito la voce delle onde.
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Ieri andammo a passeggiare fra gli alberi della piantagione. Coll'andar del tempo riusciranno a vincere il vento, ma occorrono molti alberi per imbrigliare la sabbia. Perciò l'Amministrazione Comunale si impone da anni la spesa di una piantagione sperimentale. Già è divenuta un bosco, interrotto da frequenti spiazzi nei quali ordinate moltitudini di minuscoli pini ed eucalipti - ciascuno nel suo barattolo, le radici affondate nel terriccio morbido - diventano poco a poco alberelli da trapiantare. Nella piantagione c'è qualche casetta, poche baracche in cui abitano i manovali, alcuni depositi per gli arnesi, ed una stalla.
Arrivammo ad una radura erbosa che ha per confini una lunga parete giallastra e gli ultimi cespugli del sottobosco, dietro i quali si ergono i pinastri mormoranti. Solo quel susssurro ed il sommesso brucare di un cavallo impastoiato turbavano il quieto meriggio. Un gattino nato da poco giocava ad acchiappare la propria ombra.
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Fausto sostiene che questa è gente malata; forse perchè si alimentano poco e male. E' vero che sono esili, di testa grossa, e hanno gli occhi torbidi. D'inverno, per settimane intere, la pioggia ed il fango impediscono ai rifornimenti di giungere.
Alcune case sono fuori dal paese, circondate da fitti ciuffi di pioppi e di eucalipti che le riparano dal vento e le celano gelosamente agli sguardi. Il fogliame di questi boschetti è così fitto, che sembrano giganteschi cespugli disseminati nella pianura a perdita d'occhio. Là dentro le loro donne allevano galline e perfino qualche mucca. Gli uomini invece lavorano al paese o nella piantagione. Ma anche quando non c'erano i turisti a comprare le uova, nè il Comune che imbrigliasse le dune, anche allora questa gente lottava col vento e con la sabbia per tirar su quel po' di bosco dal terreno sterile e costruirvi la propria capanna, sperduta in riva all'oceano.
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Finalmente siamo andati alla spiaggia per fare il bagno. Per Paula e la nonna è stato un giorno di allegria. Volavano sul mare lenti uccelli all'agguato, di color cenere; a tratti emettevano acuti gridi, ebbri di vento e di sole. Visto dalle dune, il mare riluceva e s'approfondiva verso l'orizzonte in colori sempre più nitidi. Ne giungeva un ronzio continuo che la brezza disperdeva nel sole.
Paula guardava le conchiglie grandi come orecchie, gli scarabei neri che correvano sulla sabbia indaffarati, qualche bambino mattiniero nel costumino rosso, uguale al suo.
Solo la nonna è rimasta con noi; gli altri hanno fatto una lunga passeggiata. A pranzo ci hanno raccontato di aver trovato sulla riva grossi pesci uccisi dalla tempesta e grandi stormi di gabbiani immobili sulla spiaggia a guardare il mare.
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Qualche villeggiante pesca dalla riva, con la lenza ed i lombrichi. Noi un giorno lo facemmo colla rete, che trascinammo camminando sul fondo a pochi metri dalla costa. Riuscimmo a catturare diversi pesci, piuttosto piccoli; mio padre li cucinò in padella, bastarono per tutti.
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In paese c'è un cinema, che proietta uno spettacolo al giorno, la sera dopo cena. E' un edificio di cemento, costruito da poco, male imbiancato: quà e là affiora l'intonaco ancora umido.
Ci sono andato con Fausto e Lucia: i nonni sono rimasti a casa, per badare a Paula. Forse saranno andati un po' a passeggio con lei, finchè l'ultima luce del crepuscolo si è spenta e nella notte senza luna biancheggiava solo la strada di sabbia. Allora Paula avrà voluto rincorrere le lucciole che si chiamavano fra le erbe, ma la nonna, impaurita dai rospi, se la sarà presa in collo e avrà insistito col nonno per rincasare.
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Dal luogo dove facciamo il bagno si scorgono gli alberi della piantagione e, al di là, la spiaggia immota e, dove la spiaggia sembra finire, una riga oscura confusa nella nebbia - l'albero maestro di un veliero naufragato a pochi chilometri di qui. Mio fratello è già andato là un paio di volte, in comitiva, con certi amici chiassosi coi quali si accompagna. Dice che laggiù, a scavare la sabbia, si trovano popolazioni di telline. Dice che, se non fosse per le telline, non varrebbe la pena di camminare tanto, che la spiaggia è sempre uguale, mare e cielo. Mia madre e mia sorella, invece, vorrebbero andarci, se non fosse così lontano, per cercarvi delle conchiglie di forma insolita che, esse ne sono certe, vi debbono abbondare. Quanto a mio padre, non sembra che abbia intenzione di andare più in là della piantagione. La piantagione esercita su di lui una forte attrazione. Rimane seduto a lungo all'ombra dei pini, leggendo qualsiasi libro, oppure osservando i manovali che, invece della ghiaia, sparpagliano conchiglie sui vialetti sabbiosi, ovvero guardando le donne, nei loro tenui costumi da spiaggia, che passeggiano, o, all'ora del the, rincasano. Si direbbe che la nostra compagnia gli rincresca, tranne quella della mamma: forse avrebbe voluto venire solo con lei, senza questi figli e questa nipote che la distraggono.
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Giocano con la sabbia, sulla riva: fabbricano fortezze che sovrastano orgogliosamente la risacca, laghetti con complicati sistemi di affluenti che occorre continuamente dragare, piste col fondo liscio battuto tre volte, sulle quali le palline di terracotta e di vetro rotolano veloci.
Passano puledri al galoppo nella spuma.
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Siamo andati ieri fin laggiù, dove s'incagliò venti anni or sono la carboniera inglese e lì rimase ed ormai solo ne emergono dalle acque le murate semidistrutte dalle onde ed un albero nero e ignudo. Dista trecento metri dalla spiaggia, quando la marea è bassa. Alcuni uccelli, neri anch'essi, riposano appollaiati al relitto, spiando la preda fra le onde. Quando Lucia ed io vi giungemmo, dopo aver camminato per due ore lungo la sonante riva, il sole aveva cominciato a tramontare ed il cielo senza nubi all'orizzonte sfumava in rosa pallido.
Recavamo in mano alcuni grandi nicchi che avevamo trovato nel nostro vagabondaggio ai piedi delle dune, semisepolti dal vento nella sabbia, là dove li aveva trasportati, chi sa quando, una marea straordinariamente alta.
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La gita con Lucia è già per me fra quei ricordi ombreggiati di nostalgia in cui si riassumono, a volte in un solo gesto, periodi ed anche epoche intere di vita. Perciò io credo che questa vacanza avrà nel mio ricordo il suono della brezza tiepida che spirava dal mare mentre camminavamo verso il veliero tenendoci per mano - le nostre ombre si allungavano di minuto in minuto e l'albero sommerso, prima appena inciso nel cielo, andava situandosi ad una distanza determinata che diminuiva continuamente, stagliandosi nell'aria che diveniva grigia - e il suono triste della mia voce che le raccontava una favola antica di tesori e di eroi.
Ella mi prestava attenzione col raccoglimento di chi ascolti un predicatore, ma anche triste per non so qual rimpianto: poi, tornando, tremava, come se la notte avesse trasformato in angoscia quel rimpianto. Così, in qualche notte serena, il troppo distante palpito delle stelle mi convinse della mia solitudine senza speranza.
Buenos Aires, 1955