CIRCULAR 117
SI PIETATE MEREMUR
Riprendo in questa Circolare il tema della Pietà, cui avevo accennato in una lettera relativa ai Solimano che scrissi a Umberto (Cuttica) nell'agosto del 1998:
"... fra tutte le conversazioni da me avute in questi giorni, solo mi riferirò a quella con Ana Leonor, che Sabato pomeriggio, dopo il funerale ed una frugale colazione di gruppo, consumata in casa, ho accompagnato al museo Larreta. Questa conversazione ha un precedente. A principio dell'anno scorso io ebbi con Paola, non ricordo chi dei due propose il tema, una discussione circa il significato della Pietà, intesa come denominazione del gruppo Madre-Figlio (disceso), quale per esempio appare nei gruppi marmorei scolpiti da Michelangelo, nei quali a volte appaiono effigiate anche altre Persone. Così a Paola come a me sembrava che una madre non provi pietà per un figlio morto, ma piuttosto senta un profondo dolore per la carenza. Alla fine concludemmo che forse il termine si riferiva al sentimento che il gruppo risveglia nello spettatore, simile in questo a ciò che probabilmente provi tu oggi nei riguardi di me e di Paola (per tacere degli altri). Nel Larreta, con Ana Leonor, vedemmo in una vetrina una piccola copia in legno della Pietà del Vaticano (quella della martellata) ed io presi a riferire ad Ana la mia conversazione con Paola ed aggiunsi che la avevo continuato a Fiesole, sempre lo scorso anno, con Laura Corti (figlia di Carla) che è un'autorità in materia di arte rinascimentale. Laura si limitò a precisarmi che la denominazione fu usata per la prima volta dal Vasari e che fece testo da allora in poi. A questo punto della mia conversazione con Ana mi resi conto che oggi, sofferta la perdita, non sono più tanto certo che Vasari non abbia colto l'essenza dell'Opera al denominarla Pietà, e mi interruppi dicendo ad Ana Leonor che dovevo rivedere le mie conclusioni di allora."
Umberto, nella sua risposta alla mia lunga lettera, considerò che questo sopra trascritto ne era il "punto centrale", dette rilievo "al collegamento - che non poteva sfuggirti [a me] - con una discussione con Paola ed ai successivi approfondimenti sulla Pietà" e ne scrisse: "... non so dirti - e forse non voglio - se, nel tuo tormento, l'illuminazione su una particolare prospettiva è un filo conduttore nella ricerca del modo di sopravvivere a questa tragedia, [o] è giusta di per sé." E, più avanti, aggiunse: "...pietà, pietas per chi? per chi avrebbe potuto vivere e non vivrà, per chi resta, per ispirare chi osserva entrambi?" Il tema fu anche trattato con Mariella nella nostra corrispondenza del Settembre/Ottobre 1998; Mariella assunse una posizione simile a quella da me compartita con Paola quando ne discutevamo, cioè pietà contrapposta al dolore per la carenza del Figlio morto.
L'anno seguente (1999) lo stesso Padre Jorge che aveva ufficiato il rito delle esequie, volle celebrare di persona la messa "in memoriam". Qualche tempo prima della ricorrenza andai da lui colla sorella di Esteban e durante la accorata, profonda conversazione che ebbi col Padre gli dissi, più come espressione di una speranza che di una realtà, che la percezione della chiesa gremita di amici e di noi parenti, dei fiori delle fiammelle della nube d'incenso che immergevano i feretri in un'aureola quasi evanescente era andata poco a poco sostituendosi, nel mio ricordo, alla cupa visione del primo momento, di quando rinvenimmo i nostri cari nella stanza in penombra, nella solitudine di chi ormai percorre altri sentieri. Il Padre Jorge imperniò la sua allocuzione su questo punto della nostra conversazione, attribuendo il mio conforto agli effetti della preghiera, che intesi come la prece comune del gruppo che aveva riunito l'estremo addio. Di fatto, col passar del tempo, l'immagine del mondo che vissero e amarono i Solimano è divenuta preponderante nella mia costante meditazione.
Aggiungo ora copia di un memo di Paola, da me recentemente riletto, che è essenziale per la comprensione di questo mio testo, d'altronde ad esso ispirato. Vi invito quindi a leggere la fotocopia allegata PRIMA DI PROSEGUIRE.
La perplessità di Paola sulla parola "no" della pagina che trascrive, conferma la sua capacità di analisi, in quanto aveva a mano solo quella sciatta traduzione del testo di Campbell quando comprese che il traduttore aveva travisato il concetto di Joyce. Trascrivo il passo dalla mia copia del "Portrait":
"They lit their cigarettes and turned to the right. After a pause Stephen began:
-Aristotle has not defined pity and terror. I have. I say...
Lynch halted and said bluntly:
-Stop! I won't listen! I am sick. I was out last night on a yellow drunk with Horan and Goggins.
Stephen went on:
- Pity is the feeling which arrests the mind in the presence of whatsoever is grave and constant in human sufferings and unites it with the human sufferer. Terror is the feeling which arrests the mind in the presence of whatsoever is grave and constant in human sufferings and unites it with the secret cause."
Più sotto Stephen/Joyce chiarisce:
"You see I use the word "arrest". I mean that the tragic emotion is static. Or rather the dramatic emotion is. The feelings excited by improper art are kinetic, desire or loathing. Desire urges us to possess, to go to something; loathing urges us to abandon, to go from something."
E, finalmente:
"The esthetic emotion (I used the general term) is therefore static. The mind is arrested and raised above desire and loathing."
Sul commento di Paola aggiungo che la espressione "difícil (de terror)" con cui qualifica la definizione di Joyce, si allinea con la reazione di Lynch; tanto il suo appunto quanto quello di Lynch/Joyce sono concessioni all'umore intese ad alleggerire una discussione tanto grave, come quella che, al di là dell'estetica, verte sulle radici stesse del senso religioso. Infatti, come osserva Pierre Grimal ("La mythologie grecque", che, in versione spagnola, mi prestò Paola), i miti con cui si esprime il cosiddetto paganesimo non costituiscono un credo immutabile, ma si sono andati erigendo col tempo anche e moltissimo con la elaborazione apportata dai poeti epici e tragici. Se riflettiamo che essi (i miti) esprimono l'essenza della religione grecoromana, che fu quella dei grandi filosofi della antichità (fra gli altri, degli Stoici), ci si rende evidente che il senso del mito è tutto simbolico e come il mito penetri nel midollo delle emozioni etica ed estetica, propiziandone una sintesi; a differenza di quanto poi avviene nell'era cristiana, in cui, mi pare, la leggenda è pretesto all'opera d'arte (spesso, ma non solo, plastica) che, al massimo, se ne permette l'esegesi (vedi la Divina Commedia, che, nell'aspetto dottrinario, si limita a tradurre San Tommaso al linguaggio della poesia, ossia si riduce alla interpretazione di una interpretazione delle Scritture).
Qui potrei aggiungere considerazioni circa la vigenza del paganesimo nella cultura moderna, per esempio ricordando come Freud abbia esplorato i più oscuri meandri della psiche interpretando il mito di Edipo, ma non insisto perché mi rendo conto che Paola, col suo memo, ci ha già proposto sufficiente spunto per una prolungata meditazione. Quindi concludo, come se parlassi d'altro, riferendomi ad un mito in particolare, cioè a quello di Enea, quale lo narra Virgilio. A me sembra che il secondo libro del poema, quello in cui si descrive la caduta di Ilio, lo sgomento degli eroi troiani, la decisione di Enea (insignem pietate virum) di abbandonare la città ormai in fiamme per mettere in salvo la famiglia ed i Penati, sia una delle massime vette cui è giunta la poesia di tutti i tempi. Perciò per affidare noi tutti alla superna protezione mi è caro ricorrere alla medesima invocazione con la quale Anchise, padre di Enea, pone sotto la tutela celeste la loro missione. E non costituisce forse il futuro, che non ci è noto e che pur ci accingiamo a vivere, un'impresa altrettanto temibile, per ciascuno di noi? Traduco molto liberamente dall'Eneide (II,689):
"Dio onnipotente, se a una preghiera concedi di commuoverti, volgi verso di noi il tuo sguardo! Nulla aggiungo, ma, se la nostra pietà ce ne rendesse degni, da questo momento e finché tu lo disponga ci soccorra il tuo aiuto, Padre, e siano nostra guida i tuoi presagi."
Buenos Aires, 30 luglio 2001
(distribuito qualche giorno prima)
Per: Mariella, Gabriele, Luciana, Carla, Eric, Alex, Lorenzo, Tatiana
C/copie per: Umberto Cuttica, Laura Corti, Ana Leonor Osorio, Padre Jorge.